sabato 17 dicembre 2011

Ruskin, Morris e L' Arts & Crafts Movement


Il testo di Storia dell’Arte adottato dalla nostra scuola, al paragrafo 28.2 “I presupposti dell’Art Noveau – la “Arts and Crafts Exhibition Society” di William Morris” non cita John Ruskin (1819 – 1900) di cui scrive circa cento pagine prima al paragrafo 25.8 trattando di restauro architettonico.
Ad onor del vero, ancora prima che in Ruskin le radici delle idee dell’ “Arts and Crafts Movement” si possono ritrovare nelle considerazioni di Augustus Welby Northmore Pugin (1812 – 1852) architetto e designer inglese sull'enfatizzazione del gotico e ancor di più in quello che chiamerei la sua “etica” dell’architettura che anticipa “The Seven Lamps of Architecture “ 1849  -  in it. “Le sette lampade dell'architettura” Jaca Book 1982, di Ruskin.
… La sua (di John Ruskin) teoria generale, per la quale l'uomo e la sua arte devono essere profondamente radicati nella natura e nell'etica, fa di lui uno dei fondatori dell'Arts and Crafts Movement, sul quale Ruskin, attraverso William Morris, ebbe una grande influenza. Lungo questa linea fu anche uno dei precursori dell'Art Nouveau.
John Ruskin è noto per la sua posizione molto particolare nei confronti del restauro architettonico. La sua concezione di restauro, definito "restauro romantico", ritiene immorale l'intervento di restauro, comunemente praticato nella sua epoca, inteso come sostituzione della copia all'originale. Egli sostiene dunque la necessità innanzitutto di conservare l'esistente, ammettendo quegli interventi di comune manutenzione (sostituzione di un coppo ammalorato; sostituzione di una singola pietra), ma anche di puntellatura, utili a prolungare il più possibile la vita dell'architettura antica, alla quale va riconosciuto anche il diritto, quando sarà giunto il momento, di morire. L'attribuzione a Ruskin di posizioni intransigenti a favore del rovinismo¹ romantico sarà dovuta alla successiva critica del restauro che, identificando da un lato in Ruskin l'estremista della conservazione e dall'altra, in Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc, il fautore della ricostruzione ex novo del monumento da restaurare, definirà una "terza via", quella del “restauro all'italiana"²  come la più equilibrata ed efficace a dare soluzione ai problemi del restauro. Nell'affermazione di questo modello interpretativo, un contributo fondamentale in Italia verrà prima da Camillo Boito, poi da Gustavo Giovannoni. …
                                        

Secondo Ruskin, che considera il Gotico come puro fatto decorativo e che ritiene l'arte rinascimentale non naturale perché intrisa di scienza, quindi non istintiva, i monumenti devono essere rispettati quasi religiosamente. Essi non devono essere toccati ne manomessi. Ogni forma di intervento conservativo o di restauro non è che una menzogna perché qualunque sia il modo in cui viene attuata, sempre trasforma il monumento in un qualcosa di diverso, pertanto lo distrugge, lo fa morire. Occorre, allora, lasciare ogni fabbrica degna di rilievo così com'è, aspettando che il tempo, consumatore di tutte le cose, la faccia perire di morte naturale.  C'è in questo una sorta di fatalismo, un'attesa della morte e della dissoluzione: senza dubbio un atteggiamento pienamente romantico.
Da: G. Cricco e F. P. Di Teodoro – Itinerario nell’arte ed. Zanichelli (il nostro testo)

Il nostro testo di Storia dell’Arte se da un lato riconosce in Ruskin “la sua passione per l’arte e la profonda considerazione che provava per essa” celebrandole addirittura con la frase che è riportata in apertura del vol. 3 (versione maior) dall’altro sembra proprio attribuire a Ruskin le “posizioni intransigenti … dovute alla successiva critica del restauro” a cui si riferisce il brano riportato sopra estratto da it.wikipedia.
Se pur indubbio è il “romanticismo” di Ruskin non riconosco in lui quel “fatalismo, un’attesa della morte e della dissoluzione” del monumento,  né mi sembra corretto semplificare che per Ruskin i monumenti “non devono essere toccati né manomessi” se “egli sostiene la necessità innanzitutto di conservare l'esistente, ammettendo quegli interventi di comune manutenzione (sostituzione di un coppo ammalorato; sostituzione di una singola pietra), ma anche di puntellatura, utili a prolungare il più possibile la vita dell'architettura antica”. Semmai come è chiaramente espresso nel brano selezionato da it.wikipedia la sua concezione di restauro, definito "restauro romantico" ritiene immorale l'intervento di restauro, comunemente praticato nella sua epoca, inteso come sostituzione della copia all'originale. Egli sostiene dunque la necessità innanzitutto di conservare l'esistente … no di lasciarlo morire!



… Il confronto tra la meditazione estetica, che in lui aveva sempre avuto una forte componente etica e umanistica, e il capitalismo selvaggio che secondo lui caratterizzava l'Inghilterra vittoriana (money-making mob -una plebe che fa soldi-, era la definizione di Ruskin dei suoi compatrioti), spostarono i suoi interessi verso idee di socialismo utopico in chiave cristiana.Già nel grande capitolo centrale delle Pietre di Venezia (forse la sua opera maggiore) Sulla natura del Gotico, aveva accusato la disumanizzazione del lavoro industriale, nella quale l'operaio è ridotto ad un mero attrezzo animato (this degradation of the operative into a machine), contrapponendo ad essa il carattere corale della produzione artistica ed architettonica gotica, nella quale l'operaio ha un ampio margine di creatività, consentito dall'irregolarità dell'opera complessiva. In queste pagine Ruskin si avvicinava alle posizioni di critica della disumanizzazione del lavoro e della separazione di lavoro manuale e lavoro intellettuale che, anticipate in alcune (troppo trascurate) pagine di Adam Smith (La ricchezza delle nazioni, libro V, cap. 1), ritornano in molta della grande letteratura del primo socialismo, soprattutto nelle celebri considerazioni del giovane Marx sul lavoro alienato (Manoscritti economico-filosofici del 1844).Negli anni successivi i suoi interessi per i problemi del lavoro e della povertà si accentuarono, fino all'aperta polemica contro l'ideologia liberista contenuta nelle conferenze tenute a Manchester (la roccaforte del capitalismo britannico!) nel 1857, e poi sviluppate in una serie di saggi per il "Cornhill Magazine" confluiti in Unto this Last (Fino all'ultimo, 1862), quello che considerò il proprio libro più importante e che, quarant'anni più tardi, verrà particolarmente apprezzato da Gandhi per l'attacco in esso rivolto all'individualismo capitalistico, al quale Ruskin contrapponeva, alla maniera di Saint-Simon, l'ideale di una società organica in cui le classi fossero tra loro coordinate, senza egemonie, dallo Stato. …
Da: http://it.wikipedia.org/wiki/John_Ruskin

Proprio questa polemica contro l’ideologia liberista e l’attacco all’individualismo capitalistico ripreso da Gandhi fanno di Ruskin (come del resto di Gandhi) un “new global” ante litteram. (Sul termine “new global” consiglio  di consultare il link http://www.simonescuola.it/globalizzazione/noglobal.htm.

Se possiamo considerare John Ruskin il principale ideologo dell’Arts and Crafts Movement, è William Morris (1834 – 1896) il suo principale portavoce. Fu proprio Ruskin a scoprire, nella sua attività di critico d'arte, i Preraffaelliti e tra questi  William Morris.



Morris e sua figlia May furono tra i primi socialisti inglesi e lavorarono con Karl Marx e Friedrich Engels per far attecchire il movimento in Inghilterra. Nel 1883 Morris entrò a far parte della Social Democratic Federation e, nel 1884 fondò la Socialist League.
Da: http://it.wikipedia.org/wiki/William_Morris

Il punto di avvio dell’impegno politico di William Morris è rappresentato dalla constatazione del declino delle arti popolari e della degradazione del lavoro comune che caratterizzano la civiltà moderna. Muovendo dagli insegnamenti di Carlyle e Ruskin, Morris intraprende un’intensa attività, volta al rinnovamento della società ed al riscatto del lavoro attraverso le arti, che dapprima si rivolge ai circoli radicali e che successivamente approda al socialismo. La “conversione” al socialismo, non cancellerà le preoccupazioni estetiche dell’autore, che costituiscono il presupposto di quel disegno di educazione delle aspirazioni delle classi lavoratrici, al quale Morris si dedicherà, attraverso le proprie opere, fino alla fine della propria vita.
Da: http://paduaresearch.cab.unipd.it/2059/

Così, come per Ruskin, anche per Morris e quindi per l’Arts and Crafts Movement dalla riflessione estetica che disprezza i pessimi prodotti (per la bassa qualità dei materiali, per le forme e per l' ecclettico miscuglio confuso di stili) distribuiti dalla produzione industriale, nasce la critica all’industrializzazione, con la conseguente vicinanza al socialismo, e la considerazione dell'artigianato come espressione del lavoro dell'uomo e dei suoi bisogni, ma soprattutto come valore durevole nel tempo.
Morris condivide con Ruskin, i principi fondamentali dell'analisi sulla degenerazione dei gusti, ed entrambi lo imputano al forte condizionamento subìto dal consumatore, dall'artista e dal produttore, causato dalla struttura socio-economica.




L’Arts and Crafts Movement propose una reazione alla produzione industriale che investì in particolare le arti cosiddette minori ma anche l’architettura. Nonostante Morris non divenne mai un architetto professionista, il suo interesse nell'architettura fu profondo e persistente. Nel 1877 fondò l'associazione per la protezione degli antichi edifici (Society for the Protection of Ancient Buildings - S.p.a.b.) e la sua attività nel campo della conservazione e del restauro portarono, seppur indirettamente, alla fondazione del National Trust³. In questo suo interesse trovò naturalmente un alleato in John Ruskin. La Red House (Casa Rossa) di Upton, nel Kent, dai lui arredata ma realizzata dall'amico architetto Philip Webb nel 1859 è considerata da molti, per la semplicità domestica dei volumi, con l'abbandono dei canoni classici, la prima opera anticipatrice ed avente i caratteri dell'architettura Moderna.


NOTE
¹ Rovinismo  -  Il rovinismo è stata una corrente artistica sviluppatasi tra Settecento e Ottocento soprattutto in Germania, Francia e Inghilterra. Esso veniva manifestato attraverso la rappresentazione delle rovine, dello sfascio e della caducità. Presente come tendenza artistica già nei secoli precedenti, ebbe tra i suoi esponenti di maggior rilievo Thomas Gainsborough, Jean-Baptiste Camille Corot, Caspar David Friedrich. In Italia ebbe larga diffusione soprattutto grazie all'opera di Giovanni Battista Piranesi.
Da: http://it.wikipedia.org/wiki/Rovinismo
² Restauro all'italiana  - … Verso la fine dell'Ottocento in Italia nascono due nuovi modi di intendere il restauro architettonico:
  1. Restauro storico, che afferma la necessità che le integrazioni all'opera debbano essere fondate su documenti storici (Luca Beltrami, Torre del Castello Sforzesco di Milano).
  1. Restauro filologico che ha come caposcuola Camillo Boito (1836-1914): riprende il concetto di riconoscibilità dell'intervento; prevede il rispetto per le aggiunte aventi valore artistico, che nel corso del tempo sono state apportate al manufatto; tutela i segni del tempo (pàtina). …

… La prima metà del Novecento è dominata dalla figura di Gustavo Giovannoni (1873 -1947) (Seguace di Camillo Boito) promotore di una sistematizzazione della teoria del restauro che va sotto il nome di Restauro scientifico. Giovannoni ritiene infatti necessaria la compartecipazione al progetto di restauro, sotto la direzione ed il coordinamento dell'architetto, di alcuni specialisti (chimici, geologi, ecc.) in grado di apportare utili contributi alla conoscenza del manufatto e delle tecniche di intervento.
Da: http://it.wikipedia.org/wiki/Restauro
³ National Trust - Associazione britannica, senza scopo di lucro, fondata nel 1895 per tutelare e preservare dall’industrializzazione alcuni edifici e parti del territorio nazionale. Questa associazione è oggi il primo proprietario terriero britannico e conta più di due milioni di soci e collabora con l’ English Heritage, prima conosciuto come Historic Building and Monuments Commission for England (fino al 1999) che è un organismo pubblico inglese incaricato della gestione del patrimonio culturale dell'Inghilterra.

lunedì 7 novembre 2011

La stagione dei Macchiaioli

...ma con tante boiate che si vedono in televisione, proprio "Passepartout" dovevano togliere dal palinsesto?

martedì 1 novembre 2011

L'italia a metà '800

Questo è un primo esempio di un video che potete creare e pubblicare a partire da un lavoro realizzato da voi. Non è perfetto, ovviamente. Si dovrebbero calibrare i tempi di transizione delle immagini e aggiungere un commento audio, tuttavia è già un inizio. Grazie a Daniele e Nicola.

domenica 25 settembre 2011

Paolina Borghese - Antonio Canova

Paolina Borghese Bonaparte è un tipico esempio di scultura neoclassica. L'artista veneto la realizzò nel 1805.
Qui la sorella di Napoleone è rappresentata come Venere Vincitrice, mitigando così, con il pretesto del riferimento mitologico, le inevitabili critiche verso colui che aveva osato ritrarre a seno nudo la giovane di sangue imperiale.
La statua è oggi conservata nella Galleria Borghese di Roma

domenica 29 maggio 2011

Passepartout: Il '400 si spezza ma non si spiega

RAITre, Domenica 29 maggio 2011
Questa puntata di Passepartout comincia con una sorta di quadro contestuale in cui vien analizzato il Quattrocento, il secolo dell’Umanesimo.
Si scoprirà così che quel fertile ambiente fiorentino di convivenze filosofiche di neoplatonismi e aristotelismi (“Firenze nuova Atene”), in cui Leonardo mosse i suoi primi passi, derivava da importanti vicende storiche, tra papi e antipapi, ricuciture di antiche vocazioni scismatiche, concili vari da Costanza a Basilea, da Ferrara fino a Firenze. Alla città di Firenze Cosimo I Medici conferì quel ruolo intellettuale che la rese protagonista indiscussa delle arti e delle lettere del tempo. Ma da Firenze Daverio allarga il discorso sull’Italia intera, con Roma che diventa nuovamente centro politico del mondo e con altre realtà locali in grado di sviluppare autonomi processi culturali di grande spessore.
Nell’affrontare questo percorso nell’Italia del Quattrocento, l’attenzione si focalizza su artisti come l’Alberti (mostra L'uomo del Rinascimento. Leon Battista Alberti e le Arti a Firenze tra Ragione e Bellezza, Palazzo Strozzi, Firenze, fino al 23 Luglio 2006), Piero della Francesca (Palazzo Ducale di Urbino, Tempio Malatestiano di Rimini), Antonello da Messina (mostra Antonello da Messina, Scuderie del Quirinale, Roma, fino al 25 giugno 2006) e intellettuali come Marsilio Ficino e Luca Pacioli.
Daverio prende spunto soprattutto dai “favolosi” anni ’70 di quel secolo, una sorta di età dell’oro della nostra storia dell’arte, decisamente l’acme di un rapido e sorprendente processo culturale. Un incomparabile elenco di opere infatti sono state realizzate nel corso di quel decennio. Nel ’74 Mantegna termina la Camera degli sposi a Mantova e inizia il Cristo Morto. Negli stessi anni Bellini dipinge la Pala Pesaro, Piero della Francesca la Madonna di Senigaglia, Antonello da Messina il San Gerolamo e nel ’78 il San Sebastiano. Nel frattempo a Firenze arriva il fiammingo Hugo van der Goes e Botticelli inizia la Primavera.

Vittoria dell’arte e dell’Umanesimo? Presa del potere da parte dell’arte e degli intellettuali? La questione è più complessa e si spiega con il ruolo assunto da Firenze, dove nel 1439 si tenne l’importante concilio che proponeva la fine del grande scisma medievale tra la Chiesa di Roma e quella di Oriente. Sebbene i risultati non raggiunsero l’auspicata riunificazione, Cosimo I, il padrone banchiere della città, ne approfittò per delineare il nuovo ruolo della città di Firenze, polo di attrazione artistica e culturale.
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-ea6060dd-debb-4fc2-86dc-09b2ed212728.html#p=0

lunedì 28 febbraio 2011

Divisionismo italiano

Giuseppe Pellizza da Volpedo
Dintorni di Milano, 1868 - Morto a Milano 1i 14 giugno 1907
" Non è la verità vera che io debbo rappresentare nel quadro, ma la verità ideale. Il conflitto di queste due verità nella mente dell'artista che produce l'opera fa sì che questa resti incompleta. L'artista che, cercando la verità, volesse starsi troppo attaccato al vero, perde lo scopo suo, non lo raggiunge. E' nel sacrificio del vero reale che si raggiunge la verità ideale ".


I suoi genitori erano piccoli proprietari terrieri che commercializzavano i loro prodotti nell'area dell'alessandrino ed a Milano. Proprio per il commercio i Pellizza entrarono in contatto con personaggi di primo piano della cultura milanese dell'Ottocento, come i fratelli Grubicy, mercanti d'arte che sostenevano l'arte contemporanea.
Alberto Grubicy ebbe un ruolo fondamentale nella sua vita: difatti l'indirizzò al disegno (a cui era predisposto) e dopo le scuole dell'obbligo a Castelnuovo Scrivia, all'Accademia di Brera. Qui frequentò il pittore Giuseppe Puricelli, fautore della pittura "verità e natura"; poi Pio Sanquirico, altro pittore importante nella Milano degli anni Settanta.
Terminato il tirocinio sotto la guida di illustri maestri: Francesco Hayez e Giuseppe Bertini, decise nel 1887 di recarsi a Roma, dove s'iscrisse all'Accademia di San Luca, poi all'Accademia di Francia. Non soddisfatto, nel 1888 si recò a Firenze per frequentare l'Accademia di Belle Arti, conoscendo così il maestro Giovanni Fattori. Alla fine dell'anno accademico, tuttavia, egli lasciò Firenze e ritornò "pronto", secondo il giudizio del Fattori, ad affrontare la pittura dal vero, attraverso lo studio della natura.
Per perfezionare ulteriormente la sua tecnica si recò nel 1889 a Bergamo per incontrare il ritrattista Cesare Tallone. Nel dicembre del 1889 si recava a Parigi in occasione dell'Esposizione Universale, ma interruppe il viaggio per la morte della sorella Antonietta. Decise così di fermarsi a vivere e lavorare in Volpedo. Tale decisione venne stigmatizzata dal suo matrimonio contratto nel 1892 con la diciassettenne Teresa Bidone. Da quell'anno inoltre cominciò ad aggiungere al suo cognome quel "da Volpedo" che finì per connotare costantemente la sua firma.
Iniziò ad inviare i suoi quadri alle prime esposizioni importanti e ben presto divenne conosciuto: Genova (1892 mostra celebrativa della scoperta dell'America), Milano nel 1894 (seconda Triennale) dove ottenne importanti riconoscimenti. Abbandonò la semplice ripresa dal vero, orientandosi verso un'arte di tipo simbolista.
Nel 1900 egli poté ritornare a Parigi per l'Esposizione Internazionale cui partecipava anche il suo "Specchio della vita", che si impone come un'opera cardine nelle discussioni sul simbolismo.
Nel 1902 espose "Il quarto stato" alla Quadriennale torinese senza ottenere un grande successo.

Le polemiche attorno a questa sua opera lo allontanarono dagli amici e si ritrovò a dover ricostruire una vita di relazioni.
Intanto era morto il suo riferimento: Giovanni Segantini. Non viaggiò fino al 1904, quando decise di intraprendere un viaggio in Engadina, nei luoghi di Segantini, dedicandosi alla pittura di paesaggio; sentiva infatti il bisogno di riflettere maggiormente sull'opera di Segantini, perciò volle andare a visitare le alte vette che avevano spesso ispirato l'artista ormai scomparso.
Nel 1906 fu nuovamente a Roma, ove riuscì a vendere alcune sue opere, infatti non vendeva quasi nulla, tranne qualche ritratto su commissione. Nello stesso anno vendette altre due opere, di cui una allo Stato. Sembrava l'inizio di un periodo fortunato, che invece venne sconvolto dalla morte, in conseguenza di un parto sfortunato, del figlio terzogenito e dell'amatissima moglie. Cadde così in una profonda depressione che lo portò a togliersi la vita, impiccandosi nel suo studio la mattina del 14 giugno del 1907.

Giovanni Segantini
Arco (TN),15 gennaio 1858 - Monte Schafberg (q. 2.770m. s.l.m), 28 settembre 1899.

Dopo un'infanzia drammatica a causa delle ristrettezze economiche e della morte della madre quando Giovanni ha solo sette anni, viene affidato alla sorellastra. Il ragazzo finisce rinchiuso in riformatorio per vagabondaggio dove resterà fino al 1873, quando viene affidato al fratellastro Napoleone, residente a Borgo Valsugana dove possiede un laboratorio fotografico. Per qualche anno Giovanni Segantini lavora nel laboratorio fotografico affinando la sua sensibilità artistica, cosa che lo spinge ad applicarsi allo studio della pittura.
Dal 1878 al 1879 frequenta corsi regolari all'Accademia di Brera, dove segue le lezioni di Giuseppe Bertini e stringe amicizia con Emilio Longoni, allora aspirante pittore come lui.
Nell'ambito accademico il "Verismo Lombardo" va per la maggiore e le prime opere di Segantini risentono di questa influenza.
Durante l'Esposizione Nazionale di Brera del 1879, viene notato dalla critica milanese, incontra il pittore ungherese Vittore Grubicy, che ne intuisce il talento e col quale instaura un rapporto d'amicizia. Nel 1880 si sposa e si trasferisce con la moglie a Pusiano in Brianza, dove dipinge con il sostegno finanziario di Vittore Grubicy che con il fratello si occupa del mercato dell'arte.
Per alcuni anni Giovanni vive in Brianza, spostandosi alla ricerca di nuovi paesaggi che riprende con Emilio Longoni, stipendiato come lui dai Grubicy, con la cui organizzazione sottoscrive, nel 1883, un contratto esclusivo. Nelle opere del periodo brianzolo i soggetti preferiti di Segantini riguardano la vita agreste, il lavoro nei campi, il pascolo, la tosatura e la filatura, nello sforzo artistico di liberarsi dell'impostazione accademica per trovare uno stile personale. All'Esposizione Internazionale di Amsterdam gli viene assegnata la medaglia doro per la prima versione del dipinto "Ave Maria a trasbordo" e, nell'autunno del 1885, inizia quello che rimarrà forse il suo quadro più conosciuto, "Alla stanga".

Nel 1886 Giovanni Segantini si stabilisce a Savognino nel Canton Grigioni con la famiglia che è cresciuta (4 figli). Spinto dal gallerista Grubicy, inizia il progressivo avvicinamento alla tecnica divisionista, prima con alcune sperimentazioni ed in seguito con un'adesione totale, affinando, nello stesso tempo i suoi interessi culturali collaborando anche a riviste d'arte. I fratelli Grubicy promuovono i suoi lavori e accrescono la sua fama per mezzo di una intelligente attività promozionale. Dal 1889 Giovanni Segantini si avvicina al "Simbolismo" e le sue opere hanno per oggetto vere e proprie allegorie, sempre più legate agli esempi nordici. Ammiratore dei divisionisti francesi, applica in modo originale questa tecnica ai suoi dipinti, che assumono la caratteristica luminosità cristallina.

Il divisionismo che nasce ufficialmente nel 1891, quando le prime opere divisioniste vengono esposte alla Triennale di Brera, è una particolare tecnica, che consiste nell'accostare i colori puri e applicarli sulla tela a piccoli tratti. Segantini ottiene vari riconoscimenti sia in campo nazionale che internazionale e matura anche un proprio orientamento simbolista ma, assillato dai debiti, nel 1894 abbandona Savognino e si stabilisce in Engadina al Passo Maloja. La vita in questi luoghi incontaminati e solitari, intensifica l'innato misticismo di Segantini. In molti suoi dipinti degli anni '90, appare evidente il Simbolismo che alla fine del secolo si affermerà in Europa aprendo le porte all'Art Nouveau del nuovo secolo.
Invitato a collaborare alla realizzazione del padiglione dell'Esposizione Universale di Parigi del 1900, Giovanni Segantini prepara il "Trittico della Natura". Proprio per completare quest'opera il 18 settembre del 1899 l'artista sale ai 2.700 metri dello Schafberg, ma, colpito da un violento attacco di peritonite, Giovanni Segantini muore il 28 settembre 1899.

Navigazioni virtuali

Quattro percorsi virtuali, Quattro proposte per una visione approfondita di opere della pittura e dell'architettura comodamente dal proprio PC.
Antica roma in 3D
Basilica di san Nicola, Bari
Pittura ad alta definizione
Piero della Francesca: Leggenda della Vera Croce, Arezzo, chiesa di S. Francesco
A queste aggiungo un sito che finalmente è stato realizzato come ogni sito d'arte dovrebbe essere fatto.
Jan Vermeer di Delft
Spero in questo modo di compensare al tempo che non ho potuto dedicare in classe per far conoscere questo gigante della pittura olandese del '600.

Dateci un'occhiata!

mercoledì 19 gennaio 2011

Van Gogh e il post-impressionismo

Impressionismo e impressionisti

Quando a Roma sorgeva il Vittoriano...






 
4 giugno 1911: inaugurazione del Monumento a Vittorio Emanuele II (Vittoriano).
Il Monumento a Vittorio Emanuele, conosciuto anche col nome di Vittoriano, fu edificato nel 1885 per celebrare il cinquecentenario del Regno d'Italia. La gloriosa costruzione fu eretta seguendo il progetto dell'architetto G. Sacconi e fu inaugurata nel 1911, anche se per la fine dei lavori si dovettero aspettare ancora molti anni. Il Monumento, realizzato in calcare bianco, rappresenta il simbolo dell'Unità d'Italia del 1921 ed è anche l'Altare della Patria. Parte del Monumento è rappresentata dalla Tomba del Milite ignoto, che contiene la salma di un soldato, del quale non si conoscono le generalità, caduto gloriosamente durante la Prima Guerra Mondiale. La Tomba è sorvegliata in continuazione da due sentinelle d'onore. L'Altare della Patria è preceduto da una maestosa scalinata, ai lati della quale campeggiano dei leoni alati e due Vittorie di bronzo. L'Altare è interessato da altorilievi relizzati da Angelo Zanelli ed è dominato al centro dalla statua di Roma, mentre nella parte centrale del Monumento si può ammirare l'imponente statua equestre di Vittorio Emanuele III, opera bronzea di Enrico Chiaradia. La statua equestre è inserita nel suggestivo contesto offerto dal portico con colonne alte quindici metri e dalle due bellissime quadrighe bronzee con vittorie alate, realizzate da Carlo Fontana e Paolo Bartolini.

L’“acuta desolazione”.
Alla fine dell’Ottocento gli indizi di una vitalità culturale del Lazio sono scarsi. Nel passaggio al Regno d’Italia, tra il 1861 e il 1870, la presenza di una certa tradizione di cultura umanistica contribuisce, almeno in parte, a preservare dalla distruzione un’eccezionale patrimonio storico-artistico risalente alle più antiche civiltà, ma questo, spesso visibile attraverso flebili tracce, suscita l’interesse di strettissime cerchie di cultori; come gli stranieri attirati in Italia e nel Lazio dal tradizionale Grand Tour, il viaggio di formazione inaugurato nel XVIII secolo dai giovani aristocratici britannici.
Ancora nei primi anni del Novecento ciò che prevale è il generale degrado e il sottosviluppo, quella “acuta desolazione” di cui scrive Charles Dickens nella metà dell’Ottocento, riferendosi al Lazio settentrionale. In molte aree della regione, le percentuali di analfabetismo della popolazione raggiungono e talvolta superano il 90%; mancano reti viarie e i più elementari servizi di accoglienza; prevale un’economia rurale di sussistenza o di puro supporto alla capitale, che costringe buona parte della popolazione attiva all’emigrazione verso le Americhe. Un contesto che non sembra favorire l’affermarsi di un sistema culturale moderno sul territorio.
L’eccezione di Roma.
L’eccezione è rappresentata da Roma, dove si concentrano gli investimenti e dove da tempo affluiscono i pellegrini e le persone colte di ogni parte d’Europa. La nuova capitale del Regno d’Italia resta il centro del cattolicesimo mondiale e il luogo della memoria delle antichità classiche, ma insieme assume anche il ruolo laico di centro della nuova burocrazia politica e dei servizi: la sua vita culturale si arricchisce della presenza della stampa quotidiana e periodica, tanto da assurgere a prima città in Italia per il numero dei giornali stampati, con un periodico ogni 1.177 abitanti. Nel segno della “Terza Roma” risorgimentale e della nuova identità nazionale, si procede a un incessante rinnovamento dei circuiti della organizzazione e della gestione della cultura: vengono ampliati i Musei capitolini, acquistati dal comune e aperti al pubblico il Museo e la Galleria Borghese, inaugurati il Museo Barracco a corso Vittorio e il Gabinetto numismatico a palazzo dei Conservatori; nuove risorse vengono investite negli scavi archeologici del Foro Romano, si riprendono gli scavi a Ostia e viene deliberato il nuovo piano di sistemazione della Passeggiata archeologica.
Teatri e cinema
Si apre una grande stagione per i teatri, con l’inaugurazione della “Casa di Goldoni” al rinnovato teatro Valle, con l’ultimazione del Politeama Adriano e con l’apertura del teatro Verdi in piazza Cola di Rienzo; in particolare, il teatro Costanzi ospita le prime rappresentazioni di opere famose come la Tosca di Puccini e la Francesca da Rimini di D’Annunzio. Sono gli anni in cui si inaugurano i cinema, nuove sedi della cultura di massa, come l’Edison in piazza Termini, il Salon Excelsior in via Genova, l’Alcázar in via dei Coronari, il Gran Salone Lumière in piazza del Gesù.
Una nuova Roma
Ma il movimento di affermazione di un sistema culturale moderno a Roma si alimenta anche e specialmente della moltiplicazione delle sedi scolastiche ed educative, della nascita di nuove società editoriali, del rafforzamento e della crescita di altre “infrastrutture della conoscenza” come gli archivi storici, le biblioteche, le istituzioni culturali. Tutta la città è in questi anni un fiorire di circoli ricreativi e culturali, di associazioni, di “caffé letterari”, di una monumentalistica diffusa che afferma il peso della memoria nel vivere quotidiano, e trova il suo apice nel 1911 con le fastose celebrazioni del “Giubileo della patria”, il cinquantenario dell’unità nazionale.

lunedì 17 gennaio 2011

Porta Pia: una porta nella storia di Roma e d'Italia


Michele Cammarano, La carica dei bersaglieri a Porta Pia 1871, Olio su tela, 290x467, Napoli, Museo di Capodimonte
Porta Pia è una delle porte che si aprono nelle Mura Aureliane di Roma, e fa parte della storia di Roma per due motivi: come ultima opera architettonica di Michelangelo, che morì poco prima che l’opera venisse completata, e come scenario, il 20 settembre 1870, della fine del potere temporale dei papi, con la famosa breccia di Porta Pia.
Cenni storici
Porta Pia è l’ultima opera architettonica costruita da Michelangelo, e segna la transizione fra il Rinascimento ed il Barocco: edificata tra il 1561 ed il 1564 per volontà di Pio IV Medici di Milano, sostituì la Porta Nomentana, che si trovava a meno di cento metri da essa, e si rese necessaria per il cambiamento dell’assetto urbanistico dell’area.
Tre secoli dopo, il 20 settembre 1870, Porta Pia entrò nella storia italiana poiché la breccia che venne aperta dall’artiglieria del Regno d’Italia nelle sue vicinanze permise ai bersaglieri italiani di entrare nella città.

Descrizione
Michelangelo propose a Pio IV tre progetti differenti di edificazione di Porta Pia: di certo l’aspetto attuale ha subito diversi cambiamenti, poiché molti documenti e medaglie dell’epoca riportano una Porta Pia piuttosto differente da quella che appare ora. Una seconda arcata venne aperta intorno al 1575 per agevolare il transito del traffico, come riportato con un’incisione sull’arcata centrale.
E’ divertente l’interpretazione della decorazione presente sul lato della porta all’interno della città, che ricorda una bacinella con un asciugamano e un sapone al centro. Si dice che si sia trattato di uno scherzo di Michelangelo, che in questa maniera voleva ricordare l’origine del pontefice Pio IV - che pare discendesse da una famiglia di barbieri. La facciata esterna fu terminata solo nel 1869, ad opera di Virginio Vespignani, che sembra si fosse ispirato ad un’incisione del 1568 che doveva essere abbastanza vicina al progetto originario di Michelangelo.
porta-pia.jpgIn memoria della breccia di Porta Pia, nel 1932 è stato aggiunto, nel Piazzale antistante la Porta, il monumento al Bersagliere: una scultura bronzea su di un alto piedistallo, voluta da Mussolini ed eseguita dall’architetto Italo Mancini e dallo scultore Publio Morbiducci. Dietro alla Porta, si trova il Museo Storico dei Bersaglieri, con la tomba monumentale di Enrico Toti.
Vicino a Porta Pia
Porta Pia si trova al termine di Via XX Settembre, e all’inizio di Via Nomentana, davanti al Monumento al Bersagliere (Enrico Toti),
Nelle vicinanze:  le catacombe di S.Nicomede, Villa Paolina e la Basilica di S.Agnese fuori le Mura.

Gerolamo Induno: L’imbarco a Quarto del Generale Giuseppe Garibaldi


1860, Olio su tela, 106x146, Milano, Museo del Risorgimento

Solo a pochi mesi di distanza dal 6 giugno del 1860, data che vide la partenza dei Mille da Quarto e che diede avvio alla gloriosa campagna di Garibaldi nel sud d’Italia, Gerolamo Induno, attento cronista e allo stesso tempo interprete nostalgico della storia contemporanea, celebrava quegli stessi fatti, peraltro non ancora conclusi, all’autunnale rassegna braidense, con questa grande tela commissionatagli da Pietro Gonzales. Imprenditore lombardo attivo nel settore delle costruzioni di strade ferrate, Gonzales incrementò notevolmente la sua attività e, conseguentemente, i suoi straordinari capitali dopo l’Unità, tanto da diventare uno tra gli esponenti più ricchi dell’imprenditoria italiana. Appassionato collezionista, aveva destinato la tela di Induno alla sua villa di Tavernola sul lago di Como, villa Claudina, in seguito acquistata dalla famiglia Bocconi. Non stupisce dunque che la scelta del committente si fosse orientata su questo soggetto, ispirato a uno dei fatti salienti della conquista di quell’Unità di Italia che tanto aveva giovato alla sua fortuna biografica; tanto meno che essa ricadesse su Gerolamo Induno, appassionato e ormai riconosciuto interprete dell’epopea risorgimentale, una filone a lui caro e di cui aveva ormai acquisito una sorta di specializzazione, tanto da divenirne il traduttore per eccellenza; una competenza derivante anche dall’aver vissuto quegli eventi in prima persona da combattente, in particolare la partenza dei Mille, che seguì in qualità di pittore ufficiale.
La composizione, il cui esplicito intento celebrativo è evidenziato anche dal formato di dimensioni ragguardevoli, riferisce, in un rendiconto d’insieme estremamente accurato e di singolare valore storico-documentario, di ogni singolo particolare dell’ampia e articolata scena della leggendaria spedizione. Il maggior risalto è dato ai due piroscafi, il Piemonte e il Lombardo, conquistati da Nino Bixio il giorno precedente a Genova, raggiunti dalle scialuppe cariche di volontari pronti all’imbarco, e, naturalmente, alla gloriosa figura di Garibaldi, che ieratico rivolge verso la riva un solenne gesto di saluto. Induco, tuttavia, non rinuncia nemmeno in questa che può essere considerata una delle rappresentazioni più esplicitamente celebrative, a quella poetica degli affetti più intimi a cui andava sempre più legando la sua produzione pittorica, alla ripercussione sul privato degli eventi storici, ripercorrendo, nostalgicamente, episodi della vita più intima e confidenziale dei singoli combattenti. Ciò lo spinse a indugiare con partecipata attenzione sulle patetiche scene di addio che si consumavano sulla riva, sui volti addolorati delle figure femminili, in un insieme senza dubbio più spontaneo e convincente rispetto al resto della composizione più rigida nell’impaginazione della scena e trattenuta nella resa dei personaggi.
Come accade in altre composizioni di spirito analogo, Induno si preoccupò, forse anche eccessivamente, di permeare la composizione di solennità mediante il ricorso a una resa atmosferica estremamente suggestiva, in questo caso l’effetto di un tramonto ardente, accesissimo nei toni brillanti e nei vibratissimi tocchi di colore che l’artista declina tuttavia con fare disinvolto a una pittura tutta di genere, inaugurando così un filone destinato a riscuotere grande successo.
http://www.culturaitalia.it/pico/modules/galleryimage/it/galleryimage_0030.html
http://www.scuderiequirinale.it/Mediacenter/FE/CategoriaMedia.aspx?idc=252