sabato 30 ottobre 2010

Giuseppe Piermarini

Il 1770 fu un anno di grande svolta per Milano. L’arciduca Ferdinando, uno dei più giovani figli maschi di Maria Teresa, doveva sposare con grande solennità Maria Beatrice d’Este e stabilirsi a Milano come nuovo governatore, quasi viceré di un rinnovato ducato che sommava assieme i ducati di Milano e di Mantova sotto la nuova denominazione di Lombardia austriaca.L’architetto Piermarini, nominato architetto di Stato, si mise subito al lavoro per costruire una dimora adeguata agli illustri sposi, comprendente secondo l’uso del tempo una residenza in città ed una villa in campagna. Per quanto riguarda la villa si arrivò presto a definire la nuova sede di Monza e lo stradone di Loreto che collegava direttamente Porta Orientale con il rondò di Monza e la villa. Sulla residenza in città ci furono invece dei tentennamenti iniziali. Il vecchio palazzo dei governatori (attuale Palazzo Reale) era vecchio, malandato e troppo soffocato dall’edilizia circostante. Non aveva alcuna possibilità di allargarsi su un giardino e persino pochissimo spazio per le scuderie.

Primo progetto di Palazzo Reale del PiermariniLa prima idea del Piermarini per ovviare a questi inconvenienti si concretizzò in un progetto che vide il nuovo palazzo occupare i terreni situati tra la Cavalchina (via Manin), i Bastioni e la strada Isara (via Palestro), terreni di proprietà dei Dugnani, che li affittavano come orti e frutteti a contadini residenti in una cascina che si affacciava sulla strada Isara. Non sappiamo perché questo progetto venne scartato. Probabilmente perché c’era sproporzione tra l’ampiezza del giardino e l’angustia dell’edificio destinato a residenza oppure perché Maria Teresa riteneva troppo dispendiosa l’idea di due nuove costruzioni. Comunque sia, si ripiegò subito per una ristrutturazione del vecchio palazzo accanto al Duomo e la zona di Porta Orientale rimase ancora per qualche anno nelle misere condizioni che l’avevano sempre caratterizzata.

Milano
Boschetti
Giardini pubblici di Porta Venezia
Monte di Pietà
Palazzo Belgiojoso
Palazzo Greppi
Palazzo Reale
Piazza Fontana - Arcivescovado
Piazza Fontana - fontana di piazza
Teatro alla Scala


Boschetti Giardini pubblici di Porta Venezia
Monte di Pietà
Palazzo Belgiojoso
Palazzo Greppi
Palazzo Reale
Piazza Fontana - Arcivescovado
Piazza Fontana - fontana di piazza
Teatro alla Scala

Cassano d'Adda
Villa Borromeo

Monza
Villa Reale

lunedì 25 ottobre 2010

Jean Auguste Dominique Ingres: "Il bagno turco"

Considerato che l'Itinerario nell'Arte della Zanichelli si è dimenticato di presentare quest'opera e visto che Il bagno turco rappresenta uno dei dipinti fondamentali nella produzione di Ingres, mi attivo per colmare la lacuna.

Si ricordi che l'esibizione del nudo femminile non era poi così scontata nel XIX secolo. Per evitare critiche o censure, gli artisti ricorrevano ad artifizi come il richiamo ai miti pagani (v. la "Paolina Borghese" del Canova, ritratta "come Venere vincitrice") o l'ambientazione esotica, come in questo caso. Il concetto che si veicolava si reggeva su un razzismo nemmeno troppo velato: ciò che sarebbe potuto apparire sconveniente per una dama dell'800 francese, poteva risultare naturale per le donne di paesi "arretrati".

giovedì 21 ottobre 2010

Appunti di Neoclassicismo

Con il termine “neoclassicismo” si usa indicare il periodo compreso, approssimativamente, fra la metà del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento, nel corso del quale si è convinti di poter raggiungere “un nuovo classicismo”, operando il recupero, in età moderna, della civiltà antica.
Il neoclassicismo trova giustificazione storica nel razionalismo illuminista che, nell’opposizione agli eccessi, alle stravaganze, alle complicazioni prospettiche del barocco, cerca quella chiarezza, quella oggettività che sembra di poter riconoscere solo nella cultura classica.
Già prima che abbia inizio la teorizzazione classica abbiamo riscontrato la tendenza a schiarire i colori, ad evitare i contrasti chiaroscurali, a dare forma geometrica alle strutture: alcuni edifici della prima metà del Settecento mostrano caratteristiche indubbiamente classiche giungendo all’imitazione palese dell’antico.

Il vero e indiscusso teorico neoclassico è il tedesco Johann Joachim Winckelmann (Stendal, Germania, 1717- Trieste, 1768): egli ritiene che l’opera d’arte sia espressione del bello ideale, raggiungibile non imitando la natura, ma emendandola dai suoi difetti, o meglio, scegliendo da essa le parti più belle e fondendole insieme.
E’ questa una vecchia teoria che risale ai romani e che, dal rinascimento in poi, è stata costantemente ripresa: è appena il caso di ricordare che parole analoghe sono state usate da Leon Battista Alberti e da Raffaello. La differenza tra Winckelmann e i suoi predecessori sta solo nel maggior rigore con cui la teoria è accettata e rielaborata da lui. Quelli cercano il bello ideale senza staccarsi dai problemi dell’età in cui vivono, senza rinunciare al linguaggio contemporaneo, il Winckelmann invece, ritenendo (forse con ragione) che soltanto i greci abbiano raggiunto il bello ideale, assume l’opera greca come modello da imitare. Il ragionamento è astorico, pretendendo che il bello ideale dei greci sia non espressione di un particolare momento storico unico e irripetibile, come, in maniera assai diversa, quello di Raffaello o di altri, ma eterno e valido per ogni periodo, anche per quello contemporaneo a lui.
Perciò il neoclassicismo è una corrente culturale ben definita e molto diversa da quel classicismo che, ora più palese ora più nascosto, è presente in tutto il corso della storia dell’arte europea, soprattutto italiana, anche quando, come nel medioevo, sembra scomparso.
L’opera d’arte, come visualizzazione del bello ideale, dovrà superare, secondo il Winckelmann, l’agitarsi delle passioni umane, il movimento, il dramma.
Le teorie di Winckelmann, che dalla Germania si trasferisce a Roma, ebbero un gran seguito: giungevano nel momento giusto per interpretare una tendenza culturale, comune a tutta l’epoca, di reazione non soltanto al barocco ma anche a ciò che di capriccioso vi era nel rococò, ritrovando la misura classica, con un fervore di studi sull’antico cui avevano dato nuovo entusiasmo le recenti clamorose scoperte archeologiche di Ercolano (1719) e di Pompei (1748): le due città romane, scomparse repentinamente in seguito alla tragica eruzione del Vesuvio del 79 d.C., offrivano, soprattutto la seconda, per la maggior facilità di scavo, una straordinaria abbondanza di oggetti antichi che divennero modello indiscusso di imitazione, dando luogo a quello che fu definito “stile pompeiano”.
Al Winckelmann si affiancano altri teorici. Il pittore tedesco Anton Raphael Mengs (Boemia, 1728- Roma, 1779), suo amico e ammiratore, aggiunge, accanto all’imitazione dei greci, quella di Raffaello e del Correggio. In pittura, infatti, non essendo sopravvissuti capolavori dell’antichità, se non in poche copie artigianali, sembrava infatti che soltanto questi artisti potessero costituire i modelli assoluti, essendo riusciti a ritrovare la grazia e l’equilibrio ellenici.

Fin qui abbiamo esaminato il neoclassicismo come un movimento culturale che persegue un fine estetico: il bello ideale. Sarebbe però limitativo considerarlo solo da questo punto di vista, perché il fine estetico non può essere disgiunto dall’ideale etico di un’epoca che è conseguenza sia delle teorie illuministe, sia della situazione storica.
Abbiamo già rilevato come, durante tutto il Settecento, il razionalismo illuminista conduca alla graduale presa di coscienza collettiva della libertà naturale dell’uomo: se tutti gli uomini sono dotati di ragione, e se la ragione permette di “capire”, di “far luce” su tutto ciò che si è voluto lasciare in ombra per favorire la sottomissione, ne consegue che “tutti gli uomini nascono e vivono liberi e uguali nei diritti”, come sancisce  solennemente la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, approvata dall’Assemblea Nazionale francese pochi giorni dopo l’inizio della Rivoluzione. Per il raggiungimento della libertà, per la salvaguardia della dignità, occorre combatterere, e se la massa non è ancora in grado di farlo, dovrà esserci qualcuno, anche uno solo, che assuma su se stesso l’onere, conducendo fino in fondo la battaglia. Nasce nuovamente il mito dell’eroe, l’uomo leggendario che, da solo, salva l’umanità. Questo eroe, che non è possibile riconoscere accanto a noi nella piattezza meschina della realtà quotidiana, appare, agli occhi degli intellettuali dell’epoca, essere esistito nell’antichità.
Quanto più ci si avvicina alla Rivoluzione francese, ossia all’azione liberatoria dalla tirannia, tanto più si vedrà il modello eroico nella leggenda della Roma repubblicana. Quando poi Napoleone, con l’impeto delle sue campagne militari, travolgerà le monarchie europee, sembrerà di vedere in lui l’uomo destinato a portare ovunque le idee e le conquiste della Rivoluzione, stabilendo una seconda fase del neoclassicismo, una fase imperiale, quasi una reincarnazione di Giulio Cesare. Per questo molti intellettuali hanno creduto in Napoleone; per questo molti altri sono rimasti delusi dalla sua successiva conquista del potere assoluto.

Ideale estetico e ideale etico sono dunque i due poli entro i quali si muove il neoclassicismo, talora con risultati artistici di grande valore, soprattutto nel campo della poesia e della musica, talaltra invece con retorica e freddezza, soprattutto nel campo delle arti visive, perché, come è utopico e astorico rifugiarsi nel mondo antico credendo di trovarvi quei modelli di vita che non vediamo intorno a noi e ai quali aspiriamo, così è utopico e astorico pretendere di raggiungere la grandezza dell’arte classica imitandola.
Comunque, riprendendo la distinzione del neoclassicismo in due fasi, quella prerivoluzionaria e rivoluzionaria da un lato, e quella imperiale dall’altro, corrispondenti rispettivamente agli ultimi decenni del Settecento e ai primi dell’Ottocento, occorre sottolineare che, almeno nelle arti visive, la fredda imitazione dell’antico, l’esteriorità, sono caratteristiche, più che del primo, del secondo momento, il cosiddetto “stile impero”.
Questo tipo di classicismo, del resto, è particolarmente gradito a tutte le dittature (e perciò anche a quella napoleonica) perché sembra loro il simbolo di quell’ordine, di quell’obbedienza alle norme, di quella grandezza che esse sostengono di portare ai popoli soggetti; non a caso, poco più di un secolo dopo, lo stesso Hitler terrà alcuni dei suoi discorsi dai Propilei di una monumentale piazza neoclassica di Monaco di Baviera.

Roma, capitale dell’antico impero romano, è la capitale del neoclassicismo. Ma le teorie neoclassiche sono comuni a tutto il mondo occidentale, cosicché non vi è sostanziale distinzione fra l’indirizzo artistico delle varie nazioni; inoltre, guida spirituale è ormai diventata la Francia, o meglio Parigi ( e lo sarà almeno per tutto l’800 e per i primi anni del ‘900) perché gli straordinari eventi politici che essa ha vissuto (Rivoluzione e impero) l’hanno proiettata nell’avvenire e ne hanno fatto il principale polo d’attrazione.

giovedì 14 ottobre 2010

Pittoresco e sublime

Concetti teorizzati in Inghilterra tra Settecento e primo Ottocento a partire dalla pittura di paesaggio.

Pittoresco
Rappresentazione della natura secondo i criteri:
   sudden variety (varietà): di vegetazione e architetture
   roughness (irregolarità): presenza delle rovine
   intricacy (intrico, complicazione)

- Nasce così il "giardino inglese" come ricreazione artificiale del paesaggio pittoresco
- Il paesaggio pittoresco induce così a sensazioni ed emozioni: la natura è sorgente del sentimento.

Alcuni esempi:
John CONSTABLE: http://www.ibiblio.org/wm/paint/auth/constable/
Joseph TURNER: http://www.ibiblio.org/wm/paint/auth/turner/


Sublime
Sentimento di piacere, attrazione e timore dinanzi alla contemplazione della natura o di opere d'arte al di sopra delle umane proporzioni.
Grandiosità, terrificante, tragico, mostruoso, infinito.

- bello: piacere estetico
- sublime: dolore estetico


"Tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in certo senso terribile, o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore, è una causa del sublime; ossia è ciò che produce la più forte emozione che l'animo sia capace di sentire"
Alcuni esempi:
Johann Heinrich Füssli: http://spazioinwind.libero.it/shanna/arte2.htm
Caspar David Friedrich: http://www.viaggio-in-germania.de/caspar-david-friedrich1.html
Francisco Goya: http://www.ibiblio.org/wm/paint/auth/goya/



sabato 9 ottobre 2010

La scultura italiana nel periodo neoclassico

"La scultura è per sua natura la forma artistica in cui più facilmente si evidenziano i risultati positivi e negativi del gusto neoclassico. Tra i portati negativi c'è il sostituirsi dello studio del modello vivente con la copia dei gessi tratti dalle statue antiche, troppo spesso di qualità scadente. È questo il momento più debole dell'evolversi dello stile, nel quale il­lustri artigiani non creano ma traducono in freddi e levigati marmi bianchi il canone classico. Oltre che nella statuaria monumen­tale, nella ritrattistica l'espressione individua­le diventa « tipo », così come le vesti contem­poranee lasciano il campo a semplici drappeggi o alla completa nudità. La purezza sot­tile di linee e volumi di questa scultura, ten­dente a un'astrazione affine alla ricerca geo­metrica dell'architettura, non è esente da una certa freddezza e monotonia.
Si devono alla grande personalità di Antonio Canova (1757-1822) i più alti risultati del­la scultura neoclassica.
Il classicismo del Canova fu ben lontano dalla raziocinante frigidità del suo contemporaneo, il danese Bertel Thorwaldsen (1770 - 1844), anche lui attivo a Roma e rappresentante del classicismo più integrale."
 .....
Questo è solo un assaggio di quanto puoi trovare sul sito "La scultura italiana", il  cui link è: http://www.scultura-italiana.com/ (raggiungibile anche dal riquadro "IL PROF. CONSIGLIA..."). Puoi approfondire la conoscenza di Canova, Thorwaldsen ...e tanto altro ancora!

venerdì 1 ottobre 2010

Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610)

Sulla scia della lezione del 1° ottobre, aggiungo un appunto video sulla figura del grande pittore seicentesco.
La studentessa che commenta fuori campo pronuncia "Emmàus", anziché "Èmmaus", tuttavia ne apprezziamo la buona volontà. ;-))