mercoledì 19 gennaio 2011

Van Gogh e il post-impressionismo

Impressionismo e impressionisti

Quando a Roma sorgeva il Vittoriano...






 
4 giugno 1911: inaugurazione del Monumento a Vittorio Emanuele II (Vittoriano).
Il Monumento a Vittorio Emanuele, conosciuto anche col nome di Vittoriano, fu edificato nel 1885 per celebrare il cinquecentenario del Regno d'Italia. La gloriosa costruzione fu eretta seguendo il progetto dell'architetto G. Sacconi e fu inaugurata nel 1911, anche se per la fine dei lavori si dovettero aspettare ancora molti anni. Il Monumento, realizzato in calcare bianco, rappresenta il simbolo dell'Unità d'Italia del 1921 ed è anche l'Altare della Patria. Parte del Monumento è rappresentata dalla Tomba del Milite ignoto, che contiene la salma di un soldato, del quale non si conoscono le generalità, caduto gloriosamente durante la Prima Guerra Mondiale. La Tomba è sorvegliata in continuazione da due sentinelle d'onore. L'Altare della Patria è preceduto da una maestosa scalinata, ai lati della quale campeggiano dei leoni alati e due Vittorie di bronzo. L'Altare è interessato da altorilievi relizzati da Angelo Zanelli ed è dominato al centro dalla statua di Roma, mentre nella parte centrale del Monumento si può ammirare l'imponente statua equestre di Vittorio Emanuele III, opera bronzea di Enrico Chiaradia. La statua equestre è inserita nel suggestivo contesto offerto dal portico con colonne alte quindici metri e dalle due bellissime quadrighe bronzee con vittorie alate, realizzate da Carlo Fontana e Paolo Bartolini.

L’“acuta desolazione”.
Alla fine dell’Ottocento gli indizi di una vitalità culturale del Lazio sono scarsi. Nel passaggio al Regno d’Italia, tra il 1861 e il 1870, la presenza di una certa tradizione di cultura umanistica contribuisce, almeno in parte, a preservare dalla distruzione un’eccezionale patrimonio storico-artistico risalente alle più antiche civiltà, ma questo, spesso visibile attraverso flebili tracce, suscita l’interesse di strettissime cerchie di cultori; come gli stranieri attirati in Italia e nel Lazio dal tradizionale Grand Tour, il viaggio di formazione inaugurato nel XVIII secolo dai giovani aristocratici britannici.
Ancora nei primi anni del Novecento ciò che prevale è il generale degrado e il sottosviluppo, quella “acuta desolazione” di cui scrive Charles Dickens nella metà dell’Ottocento, riferendosi al Lazio settentrionale. In molte aree della regione, le percentuali di analfabetismo della popolazione raggiungono e talvolta superano il 90%; mancano reti viarie e i più elementari servizi di accoglienza; prevale un’economia rurale di sussistenza o di puro supporto alla capitale, che costringe buona parte della popolazione attiva all’emigrazione verso le Americhe. Un contesto che non sembra favorire l’affermarsi di un sistema culturale moderno sul territorio.
L’eccezione di Roma.
L’eccezione è rappresentata da Roma, dove si concentrano gli investimenti e dove da tempo affluiscono i pellegrini e le persone colte di ogni parte d’Europa. La nuova capitale del Regno d’Italia resta il centro del cattolicesimo mondiale e il luogo della memoria delle antichità classiche, ma insieme assume anche il ruolo laico di centro della nuova burocrazia politica e dei servizi: la sua vita culturale si arricchisce della presenza della stampa quotidiana e periodica, tanto da assurgere a prima città in Italia per il numero dei giornali stampati, con un periodico ogni 1.177 abitanti. Nel segno della “Terza Roma” risorgimentale e della nuova identità nazionale, si procede a un incessante rinnovamento dei circuiti della organizzazione e della gestione della cultura: vengono ampliati i Musei capitolini, acquistati dal comune e aperti al pubblico il Museo e la Galleria Borghese, inaugurati il Museo Barracco a corso Vittorio e il Gabinetto numismatico a palazzo dei Conservatori; nuove risorse vengono investite negli scavi archeologici del Foro Romano, si riprendono gli scavi a Ostia e viene deliberato il nuovo piano di sistemazione della Passeggiata archeologica.
Teatri e cinema
Si apre una grande stagione per i teatri, con l’inaugurazione della “Casa di Goldoni” al rinnovato teatro Valle, con l’ultimazione del Politeama Adriano e con l’apertura del teatro Verdi in piazza Cola di Rienzo; in particolare, il teatro Costanzi ospita le prime rappresentazioni di opere famose come la Tosca di Puccini e la Francesca da Rimini di D’Annunzio. Sono gli anni in cui si inaugurano i cinema, nuove sedi della cultura di massa, come l’Edison in piazza Termini, il Salon Excelsior in via Genova, l’Alcázar in via dei Coronari, il Gran Salone Lumière in piazza del Gesù.
Una nuova Roma
Ma il movimento di affermazione di un sistema culturale moderno a Roma si alimenta anche e specialmente della moltiplicazione delle sedi scolastiche ed educative, della nascita di nuove società editoriali, del rafforzamento e della crescita di altre “infrastrutture della conoscenza” come gli archivi storici, le biblioteche, le istituzioni culturali. Tutta la città è in questi anni un fiorire di circoli ricreativi e culturali, di associazioni, di “caffé letterari”, di una monumentalistica diffusa che afferma il peso della memoria nel vivere quotidiano, e trova il suo apice nel 1911 con le fastose celebrazioni del “Giubileo della patria”, il cinquantenario dell’unità nazionale.

lunedì 17 gennaio 2011

Porta Pia: una porta nella storia di Roma e d'Italia


Michele Cammarano, La carica dei bersaglieri a Porta Pia 1871, Olio su tela, 290x467, Napoli, Museo di Capodimonte
Porta Pia è una delle porte che si aprono nelle Mura Aureliane di Roma, e fa parte della storia di Roma per due motivi: come ultima opera architettonica di Michelangelo, che morì poco prima che l’opera venisse completata, e come scenario, il 20 settembre 1870, della fine del potere temporale dei papi, con la famosa breccia di Porta Pia.
Cenni storici
Porta Pia è l’ultima opera architettonica costruita da Michelangelo, e segna la transizione fra il Rinascimento ed il Barocco: edificata tra il 1561 ed il 1564 per volontà di Pio IV Medici di Milano, sostituì la Porta Nomentana, che si trovava a meno di cento metri da essa, e si rese necessaria per il cambiamento dell’assetto urbanistico dell’area.
Tre secoli dopo, il 20 settembre 1870, Porta Pia entrò nella storia italiana poiché la breccia che venne aperta dall’artiglieria del Regno d’Italia nelle sue vicinanze permise ai bersaglieri italiani di entrare nella città.

Descrizione
Michelangelo propose a Pio IV tre progetti differenti di edificazione di Porta Pia: di certo l’aspetto attuale ha subito diversi cambiamenti, poiché molti documenti e medaglie dell’epoca riportano una Porta Pia piuttosto differente da quella che appare ora. Una seconda arcata venne aperta intorno al 1575 per agevolare il transito del traffico, come riportato con un’incisione sull’arcata centrale.
E’ divertente l’interpretazione della decorazione presente sul lato della porta all’interno della città, che ricorda una bacinella con un asciugamano e un sapone al centro. Si dice che si sia trattato di uno scherzo di Michelangelo, che in questa maniera voleva ricordare l’origine del pontefice Pio IV - che pare discendesse da una famiglia di barbieri. La facciata esterna fu terminata solo nel 1869, ad opera di Virginio Vespignani, che sembra si fosse ispirato ad un’incisione del 1568 che doveva essere abbastanza vicina al progetto originario di Michelangelo.
porta-pia.jpgIn memoria della breccia di Porta Pia, nel 1932 è stato aggiunto, nel Piazzale antistante la Porta, il monumento al Bersagliere: una scultura bronzea su di un alto piedistallo, voluta da Mussolini ed eseguita dall’architetto Italo Mancini e dallo scultore Publio Morbiducci. Dietro alla Porta, si trova il Museo Storico dei Bersaglieri, con la tomba monumentale di Enrico Toti.
Vicino a Porta Pia
Porta Pia si trova al termine di Via XX Settembre, e all’inizio di Via Nomentana, davanti al Monumento al Bersagliere (Enrico Toti),
Nelle vicinanze:  le catacombe di S.Nicomede, Villa Paolina e la Basilica di S.Agnese fuori le Mura.

Gerolamo Induno: L’imbarco a Quarto del Generale Giuseppe Garibaldi


1860, Olio su tela, 106x146, Milano, Museo del Risorgimento

Solo a pochi mesi di distanza dal 6 giugno del 1860, data che vide la partenza dei Mille da Quarto e che diede avvio alla gloriosa campagna di Garibaldi nel sud d’Italia, Gerolamo Induno, attento cronista e allo stesso tempo interprete nostalgico della storia contemporanea, celebrava quegli stessi fatti, peraltro non ancora conclusi, all’autunnale rassegna braidense, con questa grande tela commissionatagli da Pietro Gonzales. Imprenditore lombardo attivo nel settore delle costruzioni di strade ferrate, Gonzales incrementò notevolmente la sua attività e, conseguentemente, i suoi straordinari capitali dopo l’Unità, tanto da diventare uno tra gli esponenti più ricchi dell’imprenditoria italiana. Appassionato collezionista, aveva destinato la tela di Induno alla sua villa di Tavernola sul lago di Como, villa Claudina, in seguito acquistata dalla famiglia Bocconi. Non stupisce dunque che la scelta del committente si fosse orientata su questo soggetto, ispirato a uno dei fatti salienti della conquista di quell’Unità di Italia che tanto aveva giovato alla sua fortuna biografica; tanto meno che essa ricadesse su Gerolamo Induno, appassionato e ormai riconosciuto interprete dell’epopea risorgimentale, una filone a lui caro e di cui aveva ormai acquisito una sorta di specializzazione, tanto da divenirne il traduttore per eccellenza; una competenza derivante anche dall’aver vissuto quegli eventi in prima persona da combattente, in particolare la partenza dei Mille, che seguì in qualità di pittore ufficiale.
La composizione, il cui esplicito intento celebrativo è evidenziato anche dal formato di dimensioni ragguardevoli, riferisce, in un rendiconto d’insieme estremamente accurato e di singolare valore storico-documentario, di ogni singolo particolare dell’ampia e articolata scena della leggendaria spedizione. Il maggior risalto è dato ai due piroscafi, il Piemonte e il Lombardo, conquistati da Nino Bixio il giorno precedente a Genova, raggiunti dalle scialuppe cariche di volontari pronti all’imbarco, e, naturalmente, alla gloriosa figura di Garibaldi, che ieratico rivolge verso la riva un solenne gesto di saluto. Induco, tuttavia, non rinuncia nemmeno in questa che può essere considerata una delle rappresentazioni più esplicitamente celebrative, a quella poetica degli affetti più intimi a cui andava sempre più legando la sua produzione pittorica, alla ripercussione sul privato degli eventi storici, ripercorrendo, nostalgicamente, episodi della vita più intima e confidenziale dei singoli combattenti. Ciò lo spinse a indugiare con partecipata attenzione sulle patetiche scene di addio che si consumavano sulla riva, sui volti addolorati delle figure femminili, in un insieme senza dubbio più spontaneo e convincente rispetto al resto della composizione più rigida nell’impaginazione della scena e trattenuta nella resa dei personaggi.
Come accade in altre composizioni di spirito analogo, Induno si preoccupò, forse anche eccessivamente, di permeare la composizione di solennità mediante il ricorso a una resa atmosferica estremamente suggestiva, in questo caso l’effetto di un tramonto ardente, accesissimo nei toni brillanti e nei vibratissimi tocchi di colore che l’artista declina tuttavia con fare disinvolto a una pittura tutta di genere, inaugurando così un filone destinato a riscuotere grande successo.
http://www.culturaitalia.it/pico/modules/galleryimage/it/galleryimage_0030.html
http://www.scuderiequirinale.it/Mediacenter/FE/CategoriaMedia.aspx?idc=252